“I nomi della scienza sono le conchiglie
che rimangono nella sabbia quando
l’onda del Mito si ritrae attratta dai
campi magnetici delle maree.
Virus: molluschi.”
Alessandro Barrico
Alessandro Barrico, nel suo ultimo libro “Quel che stavamo cercando”, usa queste parole per dare una forma al periodo storico che stiamo attraversando, vissuto come un’obbligata e fastidiosa convivenza con il COVID-19.
Di fronte ai termini della scienza, molte volte le persone si sentono “sperse”, come se le parole usate per descrivere la realtà allontanassero dal contenuto stesso. Gli effetti delle costruzione collettiva di questa pandemia sono spesso i sintomi che riportano le persone, frequentemente connessi all’ansia: tachicardia, agitazione, nausea, disturbi digestivi, difficoltà del sonno, tristezza, paura, angoscia, senso di soffocamento, sensazione di immobilizzazione.
Come mai sempre più persone rispondono in questo modo davanti a una situazione di emergenza sanitaria?
Qual è il funzionamento del nostro sistema nervoso autonomo che porta all’emergere di questi sintomi?
Per comprendere meglio quali conoscenze ha sviluppato la scienza in merito al nostro cervello ed avvicinare le persone a questo mondo, ho scelto di approfondire i meccanismi con cui funziona il nostro sistema nervoso autonomo, chiamato comunemente cervello.
Il funzionamento del nostro cervello potrebbe essere sintetizzato in questo modo:
- Corteccia frontale e pre-frontale che si occupano delle funzioni esecutive e rispondono alla domanda: “Cosa posso imparare?”
- Sistema limbico che è utile per la regolazione delle emozioni e dei ricordi, funge da risposta al quesito: “Sono amato?”
- Tronco encefalico che è deputato alle funzioni di sopravvivenza e ci aiuta a rispondere alla domanda: “Sono al sicuro?”
Quando siamo in “modalità sopravvivenza” la parte inferiore del nostro cervello (tronco encefalico) diventa più ricettiva e si connette al nostro apparato digerente, chiamato anche secondo cervello (little brain). L’esposizione a eventi traumatici e stressanti, portano all’aumento del cortisolo attraverso l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA): l’ipotalamo comunica la situazione di pericolo all’ipofisi attraverso il rilascio della corticotropina, l’ipofisi inizia una mobilitazione attraverso il corpo nel sistema nervoso autonomo, infine vengono rilasciati i segnali del cortisolo nelle ghiandole e nella corteccia surrenale.
Il nostro sistema nervoso autonomo si caratterizza in:
- sistema nervoso parasimaptico: funzionale in tutte le situazioni in cui siamo a riposo e ci sentiamo sicuri, ma anche nelle situazioni di pericolo tramite un processo di immobilizzazione (svenimento, collasso, dissociazione, affaticamento, depressione).
- sistema nervoso simpatico: utile per poter reagire alle situazioni di pericolo tramite la modalità attacco-fuga e la mobilizzazione
Attraverso l’evoluzione, il nostro sistema nervoso autonomo si è affinato raggiungendo la sua forma più evoluta con il sistema nervoso sociale, mediato dalle espressioni facciali e dalla vocalizzazione, che ci permette di connetterci con le altre persone in modo sicuro.
Il sistema nervoso sociale è connesso al circuito ventrovagale, che ha un effetto calmante, riduce l’attività del sistema simpatico e favorisce l’interazione sociale per promuovere una maggiore sicurezza sia per sé che per gli altri. Questo sistema è influenzato dalle relazioni di attaccamento, ovvero dalle esperienze nei primi anni di vita con le proprie figure di accudimento e lo possiamo riconoscere da tutti i segnali non verbali che lo caratterizzano: lo scintillio degli occhi, la prosodia della voce, il sorriso naturale, la sensazione di calma e connessione.
Da recenti studi è stato dimostrato che il sistema simpatico e parasimpatico non sono antagonisti, bensì davanti alle situazioni di minaccia funzionano in termini di gerarchia di risposta. Secondo la Teoria Polivagale di Porges1 il sistema nervoso autonomo utilizza come canale preferenziale le risposte adattive più evolute del nostro sistema (sistema simpatico), ma se non sono sufficienti per la nostra sicurezza ricorre alle risposte più primitive (sistema parasimpatico).
In una situazione di pericolo sia il sistema simpatico che quello parasimpatico bloccano il sistema nervoso sociale, non permettono alla persona di “ingaggiare” una relazione con gli altri, in quanto la persona è orientata ad affrontare la minaccia; in condizioni di sicurezza, invece, il sistema nervoso sociale permette alle persone di cercare la relazione con l’esterno, in questo modo anche l’ autoregolazione del proprio stato neurofisiologico è più agevole: se ci sentiamo sicuri e non percepiamo alcuna situazione di pericolo, le risposte di difesa si abbassano e si accentua la sensazione di sicurezza.
Se una persona ha subito un trauma o ripetute esperienze relazionali negative nei primi anni di vita, risulta molto difficile per quella persona accedere al sistema nervoso sociale, in quanto non ha una percezione dell’ambiente come sicuro e potrebbe facilmente rimanere intrappolata in un’attivazione costante del sistema simpatico o parasimpatico, come se ci fosse la presenza di un pericolo perenne.
La risposta del sistema parasimpatico porta a un “blocco” di tutti i nostri organi, compresi quelli digestivi, anche se può rimanere attivo in alcuni momenti e portare a un’iperattivazione intestinale, generando la conosciuta sindrome dell’intestino irritabile.
Seppur la qualità relazionale dei primi anni di vita è molto importante per accedere al sistema nervoso sociale, è possibile “allenare” con la pratica e l’esperienza questa modalità evoluta del nostro cervello.
In quest’ottica, la psicoterapia può essere una buona “palestra” per imparare nuovi modi di stare in relazione e per avere una diversa percezione dell’ambiente. Grazie alla relazione terapeutica si può costruire uno spazio in cui la persona si sente sicura e può sperimentare un contesto diverso da quello della minaccia. La sensazione di sicurezza viene trasmessa non solo tramite aspetti verbali e cognitivi, ma anche attraverso le sensazioni corporee e viscerali: consapevolezza dei segnali del proprio corpo e delle emozioni associate, consapevolezza del proprio respiro e degli aspetti fisiologici, attivazione della propria autoregolazione emotiva e neurofisiologica, spostamento dell’attenzione dal trauma al momento presente per riattivare il sistema ventrovagale, che permette di accedere al sistema nervoso sociale.
Dott.ssa Valentina Loforese | Psicologa – Psicoterapeuta
Fonti
- Stephen W. Porges, La teoria polivagale, 2014, Giovanni Fioriti Editore
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Thank you for your interest